Arturo Parisi sui referendum sardi: un SI per correggere gli errori della politica

Pubblicato il da @bastacasta

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Non ho preso parte in alcun modo alla promozione dei referendum sui quali i sardi sono chiamati a pronunciarsi domenica prossima. Aggiungo. Non tutti i quesiti che fra due giorni saranno sottoposti al voto incontrano il mio assenso. Se dovessi infine guardare, a chi in queste ore sembra sbracciarsi per associare il suo nome alla iniziativa referendaria forse mi guarderei dal parteciparvi. Estraneità, perplessità, e sospetti non mi impediscono tuttavia di invitare caldamente i sardi che amano la Sardegna e la democrazia a recarsi domenica ai seggi, anzi a precipitarsi perchè ognuno sia rincuorato e incoraggiato fin dal primo mattino dal comportamento dell'altro. Solo gli incoscienti non vedono infatti che la nostra democrazia è a rischio. Gli errori che ci portiamo appresso dal passato, le urgenze che ci pressano dal mondo aprono la strada a divisioni e conflitti che se non vengono composti dentro le regole della democrazia rischiano di dilacerare gravemente la nostra convivenza. Di fronte a questa spirale sta da una parte la tendenza ad affidarsi ai cosiddetti esperti tecnici e specialisti della politica e dell'economia. Dall'altra la tentazione di abbandonarsi alle emozioni, esaurendosi nella protesta, nelle piazze, nei bar, o sulla rete. Due illusioni opposte entrambe pericolose. L'unica alternativa ad esse è la politica, il paziente esercizio della convivenza, la capacità di iniziare e riiniziare continuamente da capo. Difronte alle difficoltà - diceva Don Milani - uscirne soli è l'egoismo, uscirne assieme è la politica. Il referendum è appunto questo. Uno strumento per riaffermare che la politica non sono i politici, ma i cittadini che si assumono le proprie responsabilità delegando quando sono chiamati a delegare e decidendo direttamente quando sono chiamati a decidere. Questi referendum possono esserlo più di tutti. Nel loro insieme, più che uno per uno. Due sono infatti per me gli obiettivi che accomunano i 10 quesiti. Il primo obiettivo è estendere la democrazia dei cittadini. Penso soprattutto al quesito che chiede di rafforzare il diritto dei sardi di eleggere direttamente il Presidente della Regione consentendo ai cittadini di partecipare anche alla scelta dei candidati attraverso elezioni primarie. Il secondo obiettivo è la riduzione del peso e dei costi della intermediazione dei politici e dei partiti.Una cosa è riconoscere che non è possibile amministrare la cosa pubblica direttamente, e quindi prevedere che alcune persone lo svolgano come nostri delegati e attraverso organizzazioni intermedie. Un'altra pagare costi che onestamente hanno raggiunto livelli intollerabili, grazie alla moltiplicazione degli enti, dei posti, e degli emolumenti. All'interno di questo obiettivo sta la questione delle province. Ora è evidente che questa è una questione complicata che è difficilmente risolvibile attraverso referendum abrogativi che per loro natura debbono ridurre tutto ad un "sì" o ad un "no". Ma è ancora più evidente che la decisione di portare di colpo le province da 4 a 8, istituendo province che per le loro caratteristiche appaiono ingiustificabili è stata un grave errore, che ha chiamato inevitabilmente in causa l'esistenza di tutte le province. Un errore che abbiamo fatto da soli e che da soli dobbiamo correggere. Un errore al quale abbiamo partecipato in qualche misura tutti o, almeno, in troppi. Basti pensare al referendum del 2003 che ci avrebbe consentito di intervenire in tempo e che invece registrò meno della metà del quorum necessario. Aggiungo. Un errore che senza l'intervento diretto del sovrano che sono i cittadini, non verrà mai corretto. Possiamo continuare così? A lamentarci dei soldi sprecati e poi la volta che possiamo correggere gli errori, disinteressarcene. So che a questo proposito, come per altri referendum, molti parlano di cedimento alla demagogia, e forse c'è del vero. Ma se demagogia è l'incapacità di dire no ricercando anzi sollecitando il consenso popolare senza badare ai costi, quale esempio migliore di demagogia che il cedimento ai particolarismi locali che la classe politica consumò assicurando alla Sardegna 6 delle ultime dieci posizioni nella graduatoria delle centodieci province del Paese, e, confondendo, per l'incapacità di scegliere, le ragioni e i torti? Qualche giorno fa la Bce ha chiesto all'Italia, quindi. Qualche giorno fa la Bce ha chiesto all'Italia, quindi innanzitutto alla Sardegna, di ridurre la spesa accorpando finalmente le province come aveva promesso. Una offesa e una provocazione. Cosa è meglio? Cedere al diktat di una Banca o rimettersi al voto dei cittadini? Questa è la domanda alla quale deve rispondere il Consiglio Regionale al cui interno troppi sembrano proprio oggi tentati di boicottare il voto di domenica approvando su due piedi una leggina con l'obiettivo di dare ad intendere che i referendum sono inutili. Questa è la domanda alla quale debbono rispondere i sardi andando domenica a votare per dire, "visto che gli errori non li avete corretti voi, ci pensiamo noi".

Arturo Parisi senatore del Pd 

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